La vicenda della promozione turistica dello stato del Colorado è illuminante, da molti punti di vista: soprattutto per chi pensa che non esista una diretta correlazione fra investimenti pubblicitari e successo della destinazione.



Il Corriere della Sera del 19 agosto usciva con un lungo pezzo di Sergio Rizzo intitolato “Più investi, meno attrai: il paradosso italiano del turismo regionale”. Una pesante requisitoria sulle spese delle regioni in materia di promozione del turismo, confortata dai dati di un recente studio di Confartigianato.

Se è vero che l’articolo pecca di un’approssimativa interpretazione dei dati (illuminante il commento apparso pochi giorni dopo su Green Report), nondimeno pone una questione importante: davvero è necessario investire milioni di euro in promozione turistica? Qual è il ritorno in termini di presenze e di indotto?

Certo: Rizzo, che insieme a Stella ha fatto della denuncia degli sprechi dell’amministrazione pubblica un marchio di fabbrica, insiste sul fatto che “nelle uscite delle Regioni si annidano inefficienze, diseconomie di scala in particolare per le Regioni più piccole, inappropriatezze e sprechi”.

Ma qui ci interessa vedere la questione dal “nostro” punto di vista, dalla prospettiva di chi si occupa professionalmente di marketing e promozione territoriale. E viene allora alla mente un interessante studio americano emblematicamente intitolato “What Happens When You Stop Marketing?”, dedicato al caso – ormai di studio – della promozione turistica dello stato del Colorado.

 

Che succede se smetti di fare promozione?

 

La vicenda della promozione turistica del Colorado è istruttiva, da molti punti di vista: un territorio dalle grandi potenzialità che, a fine Anni Ottanta, investe con decisione nel marketing turistico e scala la classifica delle destinazioni USA, ma quando il governo chiude i rubinetti crolla, sperperando tutto il lavoro fatto.

Quella del Colorado è una sorta di “parabola” del marketing turistico: Bill Siegel, autore dello studio, la corrobora di dati, crudi e asettici. Certo: il turismo non si fa solo con numeri e cifre dei budget, ma quando sono così chiari è meglio darci un’occhiata.

 

Ascesa e caduta del turismo in Colorado

 

Tutto comincia nel 1983: è l’anno di nascita del Colorado Tourism Board (CTB), finanziato con una piccola tassa dello 0,1% (aumentata allo 0,2% cinque anni dopo) su ogni 100 dollari spesi in servizi e prodotti turistici – soggiorni negli hotel, noleggio di automobili, ristoranti e attrazioni – e destinata interamente alla promozione della destinazione.

Un “tesoretto” di 20 centesimi per ogni 100 dollari spesi che, via via, portano alle casse del CTB qualcosa come 12 milioni di dollari: utilizzati per la prima, celebre campagna turistica del Colorado (“Mountains and Much More”). Una promozione che puntava a slegare il Colorado dall’immagine di territorio selvaggio e, in quanto tale, percepito come desolato e poco attraente: la fortunata campagna in pochi anni porta la destinazione dal 14° al 1° posto fra le mete estive preferite dai turisti americani, aumentando del 50% all’anno la spesa sul territorio.

 

Le ultime parole famose

 

Nel 1993 un referendum abolisce la tassa turistica: una campagna (anche qui…) di grande impatto sull’opinione pubblica smonta il lavoro degli ultimi dieci anni. Il CTB viene chiuso e la Colorado Travel & Tourism Authority che lo rimpiazza è chiamata a trovare finanziamenti privati per la promozione della destinazione. Un disastro: nel giro di pochi anni il Colorado crolla al 17° posto nella classifica delle destinazioni USA.

“Le montagne rocciose erano qui prima del Colorado Tourism Board, e ci saranno anche dopo”. Questa frase, pronunciata da Douglas Bruce, attivista anti-tasse che contribuì a far chiudere i rubinetti della spesa pubblica per la promozione turistica del Colorado, entra a pieno titolo fra i cattivi presagi più puntualmente verificatisi.

 

Happy ending

 

La storia, in perfetto stile USA, ha però un “happy ending”: nel 2000 il Coloardo Tourism Board è stato rifinanziato con una somma iniziale di 5 milioni di dollari, con altri 9 immessi nelle casse dell’ente nel 2003. Il tutto per sostenere dapprima una nuova versione della fortunata “Mountains and Much More”, poi la nuova campagna “Let’s Talk Colorado”.

I risultati, ancora una volta, sono dalla parte dell’utilità degli investimenti in marketing e promozione: il Colorado nel 2000 era tornato al 5° posto nella classifica delle “dream destinations” a stelle e strisce.

 

Metà dei soldi che spendo in pubblicità è sprecata: il problema è che non so quale metà.

 

La celebre frase del mercante di inizio ‘900 John Wanamaker è la provocazione che apre lo studio di Bill Siegel: è il problema del calcolo del ROI, il ritorno sugli investimenti. Una questione che, nel marketing turistico, è sempre più centrale. E lo diventa ancora di più in tempi di crisi, quando le risorse sono scarse e il turismo e la sua promozione è una delle prime voci a subire tagli.

Il caso del Colorado, però, è emblematico. Al di là delle classifiche delle destinazioni preferite negli USA – che a volte, va detto, lasciano il tempo che trovano – alcuni dati si commentano da soli. Uno su tutti: quel 12:1, che illustra come per ogni dollaro investito in pubblicità, nelle casse dello Stato ne entrino 12 attraverso la tassa turistica applicata nello stato USA.

 

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