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Un marchio non è tutto, ma sarebbe già qualcosa.


Che il “Made in Italy” sia la carta da giocare per risollevare le sorti del Paese è ormai noto. E così va accolta con favore l’iniziativa della Senatrice Valeria Fedeli (Pd) che, con il ddl 1061, ha proposto l’istituzione del marchio “Italian Quality:” tra discussioni in aula e l’inevitabile tavolo di confronto con gli stakeholder, immaginiamo però tempi lunghi per vedere realizzato il progetto.

Sarebbe tuttavia un passo importante, che peraltro asseconderebbe anche gli obiettivi della Fondazione “Alta Gamma”, che dal 1992 riunisce le aziende dell’eccellenza italiana, i cui marchi sono famosi a livello internazionale.
 Iniziativa lodevole, seguita non a caso dieci anni dopo in Gran Bretagna, dove è nato il marchio “Made in Britain”.

A Londra, però, hanno capito un aspetto così semplice da essere generalmente sottovalutato: per veicolare con immediatezza il senso dell’operazione serve un marchio “visivo”, un logo insomma, declinabile su manufatti e oggetti.

E così gli animatori di “Made in Britain” – che, come nel caso di Alta Gamma, sono proprietari e top manager di grandi aziende UK – hanno istituito nel 2012 il logo, anche sulla scorta di un sondaggio d’opinione che mostrava come l’84% degli Inglesi dichiarava che l’apposizione del marchio “Made in Britain” su un oggetto o un abito li avrebbe spinti ad “acquistare inglese”.

In Italia qualcosa del genere è in fase di realizzazione dalla città di Milano, che ha deciso di dotarsi di un marchio “Made in Milan”, la cui creazione è stata affidata a Future Brand e il cui lancio è previsto in occasione dell’Expo 2015.

Certo: un marchio non è tutto. Ma sarebbe già qualcosa.


Risorse online

Made in Britain – Sito ufficiale

Alta Gamma – Sito ufficiale

Ddl “Italian Quality”

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